Quel volto, così familiare e così irriconoscibile

La capacità dell'uomo di riconoscere i volti è sviluppatissima, tuttavia sono ancora molti gli aspetti del modo in cui ciò
avviene che sfuggono alle neuroscienze e alla psicologia. Uno dei modi migliori per capire come funzioni un processo è
quello di esaminarne le differenze con i casi in cui esso non va a buon fine.
Per questo un gruppo di ricercatori del
Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha pensato di studiare una classica
situazione in cui a tutti capita di non riuscire a identificare un volto anche se questo è ben noto: quando lo osserviamo
sul negativo di una fotografia.
Nello studio i ricercatori hanno iniziato a studiare i rapporti di luce e buio nelle diverse zone del viso, scoprendo
che in quasi tutte le condizioni di illuminazione normale gli occhi di una persona appaiono più scuri della fronte e
dell'area della bocca. Hanno pertanto ipotizzato che la difficoltà di riconoscere i visi nei negativi sia legata alla
distruzione di questa caratteristica molto stabile.
Per testare l'ipotesi, Russell e collaboratori hanno chiesto a una serie di soggetti di identificare le fotografie
di persone molto famose in immagini positive, negative e di un terzo tipo, ossia in negativi nei quali però venivano
ristabiliti i corretti rapporti di luminosità fra gli occhi e il resto del volto. E' così risultato che per queste
immagini "chimeriche" il riconoscimento avveniva molto più facilmente rispetto ai negativi normali, ma anche rispetto
ad altre immagini chimeriche nelle quali il corretto rapporto di luminosità non era stato ristabilito per l'area degli occhi,
ma per altre parti del viso (ad esempio, per la bocca).
Lo studio ha diverse ricadute. Studi precedenti hanno dimostrato che quando fissano una persona, i soggetti autistici tendono
a concentrare l'attenzione sulla bocca. Questo potrebbe quindi spiegare perché queste persone mostrano spesso una difficoltà
di riconoscimento dei volti.
Riferimenti