Movimenti oculari e stabilità percettiva

Sono 150.000 i movimenti oculari che compiamo mediamente ogni giorno, senza rendercene conto. Si chiamano “saccadi”
e, pur essendo i nostri occhi in continuo movimento, il mondo ci appare (quasi) sempre stabile. Quali sono i segreti
di questo complesso meccanismo? Un nuovo studio tenta di dare una risposta a questa domanda,
gettando inoltre nuova luce sulla dimensione conscia e inconscia della visione.
“Quando spostiamo gli occhi da una posizione all’altra, il flusso di coscienza visiva scorre attraverso il movimento
combinando informazioni provenienti da entrambe le istantanee: il nostro cervello, come un astuto registra,
sceglie di mettere insieme le due istantanee in modo di narrare un evento continuo”, spiegano i ricercatori in una nota stampa.
Lo studio, pubblicato su Current Biology, è stato condotto da un gruppo di ricercatori del Centro Interdipartimentale Mente
Cervello (CIMeC) dell’Università degli Studi di Trento, fra i quali Nicola De Pisapia, “rientrato” in Italia dagli Stati Uniti
dove conduceva le sue ricerche alla Washington University di St. Louis, Lisandro Kaunitz, dottorando argentino in Cognitive and
Brain Sciences al CIMeC, e David Melcher, ricercatore americano in forza a Trento da diversi anni.
Un'ipotesi dei ricercatori sui meccanismi alla base della stabilità percettiva era quella della rimappatura del campo visivo,
ovvero del ricalcolo in nuove coordinate della scena esterna, ricostruita così ogni volta daccapo. Questa ipotesi è supportata
dal fatto che spesso incorriamo in errori percettivi quando uno stimolo entra nel nostro campo visivo nel momento in cui stiamo
per compiere il movimento oculare.
“In una situazione altamente controllata, come quella di laboratorio, abbiamo cercato di capire come il cervello umano elabori le
informazioni nel corso delle saccadi. Per fare ciò, abbiamo usato la tecnica del mascheramento all’indietro, che consiste nella
presentazione di un primo stimolo e immediatamente dopo (nello stesso posto) di secondo stimolo, in grado di eliminare o abbassare
la consapevolezza visiva del primo. Nel mascheramento classico utilizzato nei laboratori, ai volontari viene chiesto di non muovere
gli occhi. Noi invece abbiamo chiesto ai nostri volontari di fare delle saccadi proprio nel brevissimo intervallo tra le apparizioni
di questi due stimoli”, spiega De Pisapia.
Risultato? “I due stimoli – prosegue De Pisapia – venivano percepiti dai volontari come sovrapposti (integrazione) o separati
(segregazione) a seconda dell’istante in cui apparivano rispetto al movimento oculare in corso. Nel caso della segregazione,
le informazioni relative al primo stimolo entravano nella consapevolezza visiva, perché questo veniva percepito come spazialmente
separato rispetto al secondo. Nel caso dell’integrazione, il primo stimolo veniva invece mascherato, in quanto il secondo stimolo
veniva percepito come sovrapposto al primo, anche se in realtà erano stati presentati in due punti molto distanti della retina
(prima e dopo il movimento oculare)”.
“Questi dati ci possono inoltre aiutare a capire il funzionamento dei circuiti neurali della coscienza. L’informazione su entrambi
gli stimoli è comunque in nostro possesso, sia quando li percepiamo come integrati (e la coscienza del primo stimolo è “soppressa”)
sia quando avviene la segregazione (e il primo stimolo diventa cosciente). In questo secondo caso, ci troviamo temporalmente a ridosso
della saccade: è come se improvvisamente stesse accadendo qualcosa di strano nel mondo intorno a noi e quindi, per non perdere le informazioni
sull’oggetto sopraggiunto, cambiamo la localizzazione di uno degli stimoli e realizziamo una deformazione spaziale. Il risultato finale è
la percezione non più di uno, ma di due oggetti diversi. E’ una questione di millisecondi quella che porta al posizionamento scorretto
dell’oggetto, direi una sorta di errore percettivo, che però ci aiuta. Insomma, possiamo perdere accuratezza sulla posizione dell’oggetto,
pur di guadagnare l’accesso alla coscienza delle informazioni relative alle sua esistenza”, aggiunge Melcher.
Fonte
Brain Factor
Riferimenti